toro gif sensa cognission toro gif
Collegno,
home
chi siamo
statuto
news club
articoli
fotogallery
come associarsi
merchandising
mailinglist
link
   
  © copyright ggg  
 
 

L’ombra della FIAT sulla storia del Torino

6 febbraio 2014 By Omar Cecchelani 26 Comments

Immaginate di svegliarvi domattina, andare in edicola a prendere il giornale, o accendere il pc e trovare una notizia clamorosa, del tipo “Fiat, nuovo sponsor del Torino Football Club“. Una notizia che sconvolgerebbe tutti i tifosi granata, che increduli inveirebbero contro il loro presidente, disorientati da una decisione che ai più sembrerebbe una resa ufficiale al più forte e ricco nemico bianconero e una svendita della propria identità all’eterno rivale. Ed è anche semplice immaginare i post sui social network, gli striscioni allo stadio e le proteste di tutti, compresi i tifosi bianconeri che sicuramente non accetterebbero di buon grado, nemmeno loro, che la Fiat aiuti economicamente i “cugini meno nobili” della città.

Questa che sembra una bizzarra fantasia, fu un avvenimento che accadde realmente poco più di 70 anni fa quando l’Italia del calcio, flagellata dalla seconda guerra mondiale, dopo il primo scudetto di quello che stava per diventare il Grande Torino, fu costretta alla divisione dei campionati 1943/44 e 1944/45, in gironi territoriali, in quanto le difficoltà nei trasferimenti, causate dai bombardamenti degli alleati, la sospensione delle linee ferroviarie, che costrinsero i viaggiatori ad affrontare spesso dei tratti a piedi, resero impossibile lo svolgimento regolare delle competizioni.

torino-fiatPer evitare i rischi della chiamata alle armi dei propri tesserati, molte squadre si ingegnarono, assicurando i propri campioni alle industrie più importanti della nazione, facendoli passare come indispensabili per i processi produttivi relativi alla costruzione di equipaggiamenti bellici nazionali (che in quel periodo andavano sicuramente più che le auto), esentandoli di fatto dall’impiego al fronte.

Nel 1944 fu proprio la Fiat a venire incontro al Torino ed ai suoi giocatori, grazie al presidente Ferruccio Novo che riuscì a stipulare un accordo, impensabile ai giorni nostri, con la casa automobilistica, dando vita al Torino-Fiat, nome che somigliava a quello di una squadra aziendale, con Mazzola e tutti gli altri giocatori del Toro, assunti come operai alla Fiat, e ritratti in più foto d’epoca al tornio e alle macchine utensili, mentre la Juventus emigrò ad Alba, abbinando il suo nome alla Cisitalia, azienda dell’indotto auto, appartenente all’allora presidente bianconero Piero Dusio.

Una curiosità di quel Torino, fu la presenza in granata di Silvio Piola, che poté giocare nella stagione 44/45 a fianco di Mazzola e compagni, in prestito dalla Lazio, per motivi logistici, infatti essendo vercellese per prelevare la propria famiglia e portarla nella capitale, rimase bloccato in alta Italia dalla guerra, e “costretto” a giocare quella stagione nel Torino.

novoResta da chiedersi come mai la Fiat, sponsorizzò proprio il Grande Torino, mettendo per una volta la propria creatura, la Juve, in secondo piano rispetto ai cugini, destinandola ad Alba, comparendo addirittura col proprio marchio sulle maglie granata. Forse quell’accordo era figlio di un periodo in cui si badava più a salvare la pelle che alla forma, e in questo modo si salvarono appunto capra e cavoli, oppure la Fiat stessa rendendosi conto della grandezza di quella squadra, non perse l’occasione di legare il proprio marchio agli invincibili. Quel che non si può negare, è che per una volta, nella storia, la Fiat aiutò seriamente i granata, consentendo agli stessi di diventare eroi, pochi anni dopo. Il matrimonio tra i granata e la Fiat durò due anni, fino al termine del conflitto bellico.

Ma il filo che lega la Fiat al Torino, se pur meno marcato e sempre molto sottile, quasi invisibile, è sempre stato presente nella storia granata, infatti dopo Ferruccio Novo, imprenditore nell’industria del cuoio (quindi completamente slegato dalla Fiat) i suoi successori più famosi, illustri e longevi, esclusi quelli del comitato di reggenza e del comitato esecutivo, necessari dopo le dimissioni di Novo perché la società brancolava nel buio, furono tutti in qualche modo legati alla casa automobilistica torinese, partendo da Orfeo Pianelli imprenditore della ditta Pianelli e Traversa, che fondò la sua impresa nella Torino del dopoguerra (25 novembre 1945) che si occupava di linee ed impianti elettrici industriali, diventando in pochi anni da semplice “boita” ad azienda con commesse in Francia, Stati Uniti e Unione Sovietica. Erano gli anni 60′ quelli in cui Torino cominciava a familiarizzare con le automobili, che diventarono da semplice mezzo per spostarsi a vero e proprio status symbol, con la Fiat che nel periodo ruggente del boom economico lanciò le sue utilitarie alla conquista del mondo, e la Pianelli e Traversa che inserita tra i suoi fornitori per i meccanismi delle catene di montaggio, fece letteralmente fortuna.

pianelliEra la Torino del boom economico, che agli occhi del mondo significava principalmente auto e Fiat, che oltrepassava i 120.000 dipendenti con un fatturato di oltre 600 miliardi, e Pianelli per soddisfare al meglio il proprio cliente rilevò da Sergio Rossi (suo successore alla presidenza del Torino Calcio) la Metallotecnica Veneta, la Ghisfond, la Olmat, la Ruffini e la Gutter investendo anche all’estero raggiungendo oltre 5 mila dipendenti con un fatturato di 60 miliardi l’anno. Un legame forte che si consolidò di anno in anno, ma nonostante questo, Orfeo Pianelli osò sfidare la famiglia Agnelli e la Juventus, col suo Torino che ebbe la forza di rifiutare un’offerta di 300 milioni fatta dai bianconeri per Gigi Meroni, e andare a strappare proprio alla squadra della Fiat lo scudetto del 1975/76 coi gemelli del goal Pulici e Graziani, con la popolarità del “suo Toro” che stava tornando a livelli mai più raggiunti dopo il Grande Torino che sembrava mettere in ombra anche l’altra squadra della città.

Ma si sa, le fortune al Toro duran poco, e nel 1978, un anno dopo il campionato che vide vittoriosa la Juve per un punto sui granata, che fecero comunque 50 punti, un fatto terribile colpì il presidente granata, col rapimento del nipotino Giorgio Garbero, e il pagamento di un riscatto folle per la sua liberazione, che segnò l’inizio della fine dell’impero del patron granata, con il conseguente disimpegno progressivo dal Torino Calcio, ma ancor peggio il crollo finanziario della sua impresa, che non si riprese mai più da quella sciagura, anche a causa dell’improvvisa perdita di quasi tutte le commesse provenienti dalla Russia, negli anni successivi la conquista dello scudetto. La Pianelli & Traversa fallì e con lei scomparve anche il Toro dello scudetto, sostituito nel 1981 dal Toro di Giacomini, fatto di giovani promesse che dovevano necessariamente segnare un punto di rifondazione per una squadra costruita in quasi vent’anni e smantellata in pochi mesi.

               

Il povero Pianelli venne incriminato per truffa e bancarotta fraudolenta, arrestato a causa di una lettera anonima indirizzata al ministro del Finanze e alla Finmeccanica che informava che nelle aziende del gruppo sarebbero esistite gravi irregolarità nel pagamento dei contributi previdenziali e che lo stesso Pianelli avrebbe sottratto 14 miliardi in modo fraudolento. Venne condannato a sei anni e sei mesi di cui 3 condonati, e a pagare una multa di 400 milioni, per il fallimento della sua impresa, ma venne prosciolto dalle accuse di bancarotta fraudolenta, falso e truffa. Orfeo Pianelli in lacrime nell’aula del tribunale disse: “Scrivete, che mi sono già fatto quindici mesi di arresti domiciliari. Tutto questo per aver cercato di salvare la mia azienda e i miei operai. Gli affari mi sono andati male perché, ad un certo momento, non ho avuto un Gheddafi come ha avuto la Fiat. Ho lavorato sempre con le mie forze, ma superare la crisi con un complicato giro di cambiali dopo il riscatto di un miliardo e mezzo pagato, la perdita di moltissime commesse e senza aiuti è stato impossibile“.

Se pensiamo che fino all’anno dello scudetto del Toro la Pianelli & Traversa era un’azienda solidissima, ricca e produttiva e che prima il rapimento del nipotino, poi le accuse anonime, dimostratesi successivamente false nei confronti del presidente granata, distrussero un impero con tremila dipendenti, posto sotto amministrazione straordinaria con Pianelli rinviato a giudizio per bancarotta fraudolenta con distrazione, falso e truffa in due anni, è facile intuire che tipo trattamento subì una persona che bastava guardare negli occhi per capire di che pasta fosse fatto, un uomo onesto, che mise a rischio la sua impresa per salvare il nipote, senza ricevere nessun aiuto, ma solo bastonate che gli diedero il colpo di grazia.

sergio-rossiIl suo successore, fu il gentiluomo Sergio Rossi, patron della Comau, che acquisì il Torino Calcio nel 1982, portandolo in pochissimi anni ad ottenere un risultato storico nel 1985 con il secondo posto dietro al Verona. Anche Sergio Rossi fu legato indissolubilmente alla Fiat, perché la Comau, azienda che si occupava della robotizzazione delle linee industriali, forniva la casa automobilistica in tutti i suoi stabilimenti, assumendo una posizione di dipendenza da un azienda da cui poi venne anche acquisita. Sotto la sua presidenza, il Toro compì un’altra impresa, ricordata ancora oggi da tutti, ovvero la celebre rimonta da 0-2 a 3-2 in tre minuti in un derby che resterà per sempre nella storia del Torino, e acquistò uno dei giocatori ancora oggi nel cuore dei granata come Leo Junior, mantenendo la squadra stabilmente nelle prime posizioni di classifica.

Un uomo burbero, ma sincero, che non accettava compromessi e imposizioni, costretto a suo dire, con molto rammarico, ad abbandonare il Torino dopo una stagione terminata soltanto all’undicesimo posto a causa di inspiegabili, quanto strane contestazioni ricevute da sparuti gruppi di pseudo-tifosi granata. Ufficialmente il motivo fu questo, ma viene legittimo chiedersi come sia possibile che un uomo che ha saputo lottare come un leone per la sua impresa, in grado di costruire un’azienda come la Comau, si sia arreso di fronte alle prime contestazioni dopo quattro anni di crescita. Un uomo che in quegli anni era considerato tra i cento Paperoni d’Italia, capace di comprare la Graziano, pagandola in contanti, che a causa di qualche tifoso scontento, decise di svendere il suo Toro in ottima salute finanziaria a Mario Gerbi (casualmente un altro industriale metalmeccanico torinese legato a Fiat), e Michele De Finis per soli 6 miliardi, quasi come se volesse liberarsi della squadra nel più breve tempo possibile, anche rimettendoci del proprio. Sarà forse stata proprio questa decisione ad evitargli di finire male come il suo predecessore, e come tanti suoi successori che si rovinarono proprio a causa del Toro, in una città troppo piccola per avere due squadre competitive in serie A? (Citiamo per conoscenza un’articolo di Repubblica che parlava di questa strana cessione)

Gerbi e De Finis riuscirono in due anni a fare quel che nemmeno la tragedia di Superga fu capace di combinare in cosi breve tempo, ovvero di portare il Torino in serie B, vendendo tutti i giocatori più rappresentativi, prima di cedere il passo a Gianmauro Borsano. Gli anni di Borsano furono forse quelli delle ultime vere soddisfazioni sportive per i tifosi granata, pagate però a caro prezzo con la società che rischiò il fallimento dopo la sua gestione e quella del notaio Goveani, uomo a lui legato, che lasciarono il Torino nelle mani del tribunale fallimentare già nel 1994, quando sembrava che il crack finanziario dei granata fosse inevitabile a causa della situazione patrimoniale disastrosa, e dei numerosi creditori pronti far partire azioni legali per rivendicare i propri crediti.

calleri-giribaldiFu allora che accadde un fatto che ancor oggi dopo quasi vent’anni ha dell’incredibile: le azioni del Torino Calcio erano di fatto sotto sequestro del tribunale fallimentare che attendeva un’offerta valida per l’acquisto della società, da parte di qualche imprenditore che fosse in grado di impegnarsi a ripianare i debiti risanando il Torino. Fu allora che apparvero sulla scena due personaggi, opposti ma in quel caso complementari come Luigi Giribaldi e Gianmarco Calleri. Il primo un noto imprenditore piemontese, tifosissimo granata e azionista di maggioranza della Traco fino a 5 anni prima, che dalla sua vendita ricavò una liquidità seconda solo a quella dell’Avvocato Agnelli a Torino, un uomo forte della finanza, uno scalatore, che attraverso i suoi fondi e la sua abilità riuscì a mettere alle corde addirittura un certo Carlo De Benedetti, costretto a liquidarlo profumatamente allorché Giribaldi acquisto il 5% delle azioni della della Gaic, la finanziaria e di Camillo e Carlo De Benedetti e circolava voce in quegli anni che fosse intenzionato addirittura a tentare la scalata alla Fiat. In quel periodo conservava partecipazioni in una ventina di società e grazie alla sua enorme liquidità comprava e vendeva, ricomprava e rivendeva. Insomma, un magnate, l’uomo in grado di far sognare il Torino e i suoi tifosi, risanare la società e farla tornare vincente.

Il secondo, Gianmarco Calleri, già presidente della Lazio, che riuscì a salvare dal fallimento, e proprietario di diverse imprese tra cui la Mondialpol. Un personaggio dalle risorse finanziarie decisamente inferiori rispetto al primo, ma gran conoscitore ed appassionato di calcio. In tandem i due avrebbero rilevato la società granata occupandosi rispettivamente della parte finanziaria il primo e della parte sportiva il secondo. Sembrava l’accoppiata perfetta, un sogno che stava per realizzarsi, anche in considerazione del fatto che l’eventuale fallimento del Torino, non spaventava soltanto i tifosi granata, ma anche altre società di calcio tra cui la Juventus, alla quale il fallimento del Toro sarebbe costato l’automatico concorso in bancarotta fraudolenta per l’acquisto di Dino Baggio. Stesso destino per Milan (Lentini), Napoli (Policano) e Lazio (Cravero).

Purtroppo tutte le offerte che i due imprenditori fecero, vennero sempre rispedite al mittente dal tribunale fallimentare, che di fronte ad una proposta di acquisto in leasing della società e ad un graduale risanamento della stessa rispose picche, così come fece quando i due imprenditori avanzarono delle vere e proprie offerte in denaro per rilevare le azioni sotto sequestro. Il solo Giribaldi arrivò ad offrire fino a 15 miliardi che uniti ai soldi di Calleri, più tutti i capitali, intesi come giocatori sotto contratto, avrebbero coperto ampliamente la totalità dei debiti, ma l’inspiegabile ostruzionismo del tribunale fallimentare di fronte a queste proposte, fece desistere l’imprenditore residente nel principato di Monaco, che si ritirò ufficialmente dalla gara per l’acquisizione della società granata, lasciando il solo Calleri a concorrere per la presidenza.

giribaldi

Ovviamente la proposta del solo Calleri venne invece accolta a braccia aperte, dal curatore, che dissequestrò a suo favore le azioni del Torino, consegnando le chiavi della società granata all’imprenditore ligure, alla quale abbuonarono, come gesto di grande disponibilità verso il nuovo arrivato, 2 miliardi di capitali versati, anche i vecchi proprietari Goveani e Savoia che si dimostrarono invece intransigenti allorché nella corsa alla presidenza concorreva anche Giribadi (sarà stata per una questione di simpatia forse). Con buona pace di tutti quindi, Calleri diventò presidente del Torino, e in due anni vendette tutto quel che era vendibile, smantellando il settore giovanile, fin li fiore all’occhiello della società granata, svendendo tutti i migliori giocatori, portando il Torino alla retrocessione in soli due campionati. Si difese sempre dalle accuse dei sostenitori granata, che lo criticavano a causa degli scarsi risultati, sostenendo che quello era l’unico modo per evitare il fallimento e che al posto di criticarlo, i tifosi avrebbero dovuto fargli un monumento.

Sorge spontanea una domanda… Perché il tribunale fallimentare che si è messo di traverso alla proposta fatta da Calleri e Giribaldi, ostacolando l’acquisizione in tandem della società, ha successivamente accettato la proposta del solo Calleri, tra l’altro la parte meno abbiente tra le due, il cui piano di salvataggio prevedeva essenzialmente la vendita di tutto quel che poteva essere venduto, in quanto Calleri non avrebbe avuto la forza economica di poter fare diversamente? Perché dopo i vari rifiuti che hanno spinto Giribaldi a ritirarsi dalla corsa per il Toro, il tribunale si è poi dimostrato molto più aperto nei confronti del solo Calleri? Purtroppo non conosceremmo mai i motivi di queste decisioni, quel che si sa con certezza, è che il Torino con il ritiro di Giribaldi dalla scena, ha perso una grandissima occasione per ritornare grande, ed iniziare finalmente un ciclo vincente che da troppi anni i tifosi aspettavano.

La presidenza di Gianmarco Calleri durò tre anni, in cui venne raso al suolo tutto quel che poteva essere monetizzato, venne completamente abbandonato il progetto di ristrutturare il Filadelfia, che nel frattempo venne dichiarato inagibile e la squadra retrocesse in serie B al secondo anno di gestione, non riuscendo a centrare l’immediata promozione in serie A, prima che Calleri la cedesse, diciamo così, al primo venuto per scaricare il moccolo a Massimo Vidulich, non senza debiti ed ammanchi di bilancio.

vidulichMassimo Vidulich sebbene sia ricordato malamente e di controvoglia da tutti i tifosi granata, era invece un ottimo dirigente e soprattutto indipendente dalla Fiat. Quando acquistò il Toro, riunendo una serie di imprenditori liguri tra cui Regis Milano e altri, esordì con propositi interessantissimi per la piazza, costruendo anche una squadra che si dimostrò subito competitiva per la serie B, con gli acquisti di Lentini, Minotti, Bucci, Asta, Dorigo, i 2 Bonomi, Comotto, ecc., con un grave errore nella scelta del mister a inizio stagione quando si optò per Graeme Souness, che venne esonerato dopo un inizio disarmante e sostituito da Edi Reja che riuscì ad arrivare fino allo spareggio promozione perso ai rigori contro il Perugia con un finale di campionato macchiato da svariati episodi arbitrali negativi clamorosi. La promozione in serie A al secondo tentativo con Emiliano Mondonico in panchina, giunse al termine di una stagione quasi trionfale dove un buon Torino seppe conquistare il secondo posto, raggiungendo la A con tre giornate di anticipo. L’anno successivo invece la sfortuna tornò a far capolino in casa granata che si ridussero ad un campionato da comprimaria, per poi terminare al 15 posto retrocedendo, dopo un inizio di stagione quasi da zona UEFA, compromesso a causa del gravissimo infortunio di Scarchilli.

Ma quel che maggiormente fece specie alla tifoseria e probabilmente non solo, in una Torino in cui i poteri forti vestivano un colore diverso dal granata, furono le sue dichiarazioni di inizio mandato, che diedero un vero e proprio scossone all’ambiente, con la promessa di ricostruire il Filadelfia e la minaccia di prendersi da solo il Delle Alpi, nel caso in cui il comune si fosse messo di traverso nella questione relativa al vecchio stadio del Grande Torino.

I Genovesi furono come un macigno gettato nel laghetto di un isola felice, quella di una città, Torino, in cui l’assegnazione dei giochi olimpici del 2006 aveva fatto scoppiare la grana degli stadi, con la Juventus che minacciava il comune di spostare le proprie partite casalinghe lontano da Torino, e che voleva a tutti costi l’assegnazione dello stadio Delle Alpi, con un terzo incomodo, il Toro appunto che avrebbe potuto rivendicare parità di trattamento nei criteri di assegnazione delle aree, sparigliando le carte bianconere.

La vergognosa campagna mediatica dei quotidiani torinesi (con Vidulich che dopo aver venduto il Torino Calcio vinse anche la causa intentata proprio al giornale sportivo della città), servì a far terra bruciata intorno ai genovesi, lasciandoli da soli contro tutta la città, compresi i tifosi granata ormai pilotati da quel che quotidianamente usciva sui giornali. Fiore all’occhiello di questa campagna mediatica finalizzata alla distruzione del “terzo incomodo“, fu un grottesco messaggio Televideo in cui i Genovesi venivano definiti “alieni” e Cimminelli e Aghemo, nei giorni delle trattative per l’acquisizione della società, valorosi condottieri che avrebbero liberato il Toro dagli invasori.

Se poi si considera che i debiti lasciati dai Genovesi erano più o meno quelli trovati al loro arrivo, più gli stipendi non pagati da dicembre 1999, e che Cimminelli al momento in cui rilevò il Toro, sapeva benissimo questa situazione, dando il suo placet, è impossibile non notare come una gestione, forse poco fortunata da un punto di vista sportivo, ma non certo scellerata, venne dipinta ai più come la più grossa sciagura che fosse capitata al Toro, forse proprio per il fatto che due personaggi troppo indipendenti dalla Fiat arrivarono al Toro in un contesto sbagliato, in anni sbagliati, avendo tutto e tutti contro, fino ad essere stati costretti a riconsegnare la società nelle mani di Cimminelli e quindi di nuovo della Fiat, perché se è vero che Cimminelli era un imprenditore autonomo, è altresì vero che i suoi soldi provenivano dalle commesse della Fiat, che quindi indirettamente controllava anche il Torino.

cimminelliQuel che successe al Toro di Cimminelli è illustrato perfettamente nell’articolo “Juventus Stadium, non regalato ma costruito sul fallimento del Torino“, che descrive in modo esaustivo chi fosse in realtà Cimminelli, ovvero un grande tifoso bianconero, come egli stesso non mancò spesso di dichiarare, che ha dovuto, suo malgrado, prestarsi ad un gioco immensamente più grande di lui, ma che per lo meno ebbe il pregio di dichiarare, in tempo reale col suo insediamento, cosa realmente pensasse del Toro e dei suoi tifosi, che finì col rimetterci letteralmente le mutande, per accomodare a favore del suo committente, e quindi di colui che gli permetteva di esistere, l’ingarbuglata e spinosa questione degli stadi, proprio nel momento in cui il Toro festeggiò la promozione in serie A con i vari Quagliarella, Mudingayi, Balzaretti, Marchetti, Sorrentino, ecc., insomma con una squadra di quasi sicuro avvenire, smantellata a causa del crack finanziario dei granata un mese dopo la festa per il ritorno nella massima serie.

Il resto é storia recente e ironia della sorte in soli tre anni, dal 2003 al 2005 se ne andarono l’avvocato Gianni Agnelli, suo fratello Umberto e per ultimo proprio il Torino, che fallì dopo 99 anni di storia, anche e soprattutto a causa dei debiti accumulati per la ristrutturazione del comunale in vista delle Olimpiadi di Torino 2006, ovvero per il “favore” che Cimminelli fece alla Juventus per la questione stadi, affossato dal colpo di grazia delle false fideiussioni che non permisero ai granata di vedersi ratificata l’iscrizione al successivo campionato di serie A. Quel che fa impressione è osservare come la vita del Torino sia stata nel corso della storia, sempre in qualche modo legata e condizionata dalla Fiat, uniti da un filo sottile per tutta la loro esistenza, e paradossalmente anche nella morte dei suoi protagonisti che si compì in pochissimo tempo, quasi come se la scomparsa di un elemento, avesse in qualche modo condizionato l’altro portandolo alla morte.

La situazione attuale che vede una città, Torino, con due squadre in serie A, di cui una ricca, vincente, con uno stadio di proprietà e tifosi sparsi in tutta Italia, con la maggior fetta di diritti televisivi, e soprattutto famosa e conosciuta anche oltre confine, e l’altra squadra ormai ridotta al ruolo di provinciale, è il frutto per il Toro, di una vita vissuta all’ombra della Fiat, che nel mercato del lavoro ha raggiunto il ruolo di monopolista, andando man mano ad acquisire, e inglobare tutte le sue concorrenti, raggiungendo una posizione di predominanza su una città che si sviluppò proprio grazie alla Fiat, ma che restò schiava del suo stesso legame, andando in crisi nera quando il colosso automobilistico ha deciso di spostare il proprio business altrove.

D’altronde è risaputo come la Fiat, che ha dato vita e sostentamento a migliaia di aziende del proprio indotto, ha avuto poi su di essere il potere di vita o di morte, perché come sono state tantissime le aziende nate sotto l’ala protettrice di mamma Fiat, così sono moltissime quelle che la Fiat ha prima alimentato, poi lasciato senza lavoro fino alla lenta ma inesorabile morte, per poi rilevare a poco prezzo inglobandole nel gruppo. Questo è successo per esempio con la Ergom, tanto per restare in argomento, fallita nel 2007 e rilevata subito dopo dal gruppo Fiat, per una cifra simbolica. Ma destino analogo, con diverse sfaccettature, ebbero l’Alfa Romeo, acquisita dall’IRI grazie all’intercessione di Romano Prodi, così come Lancia, Autobianchi e Ferrari che vennero acquisite dal gigante torinese a cifre minime.

Se questo è stato il modus operandi della Fiat a Torino e in Italia, ovvero controllare indirettamente prima, per poi poter decidere il destino dei suoi pericolosi concorrenti, è facile intuire come nel calcio, dove in fondo tutto è più semplice, la famiglia, si sia potuta comportare in modo analogo, e del resto troppe cose lo dimostrano, come ad esempio l’aneddoto narrato sul libro “Orfeo Pianelli. Il presidente del Toro Campione, ovvero di come fosse buona norma e quasi un dovere, prima di diventare presidente del Torino, avere il placet dell’Avvocato.

fiat-torino

Troppe cose sono andate in quella direzione, troppe stranezze hanno contraddistinto la storia dei granata, che ha visto i suoi migliori presidenti, andare in malora dopo aver ottenuto dei risultati con il Toro, oppure illustri personaggi come Luigi Giribaldi e Calisto Tanzi, che hanno preferito rinunciare all’acquisto del club, dopo esservi stati a un passo, e ancora presidenti come Sergio Rossi che abbandonarono inspiegabilmente la barca, rimettendoci anche del proprio, forse proprio per non fare la fine di quelli che col Toro sono finiti in disgrazia togliendo spazio e visibilità all’altra squadra della città.

La Fiat grazie alla famiglia Agnelli ha assunto una posizione di monopolio nella galassia automobilistica italiana e nel mondo del lavoro torinese, così come la Juventus ha sempre lavorato per ritagliarsi una posizione di monopolio a Torino, per poi conquistare l’Italia, controllando indirettamente, anche l’altra squadra, relegandola ad un ruolo di comprimaria, non in grado di intaccare la popolarità del club di famiglia.

E probabilmente aveva ragione il sindaco Valentino Castellani, quello che avrebbe dovuto farsi da garante tra i due club torinesi, nella questione degli stadi, e che invece fece pagare 13 milioni di euro in più al Toro, uno Stadio Comunale ormai in disuso e obsoleto, rispetto ad uno stadio, il Delle Alpi, costruito da meno di dieci anni e che ebbe addirittura il coraggio di sentenziare: “Troppe due squadre per la cittá di Torino“, e forse alla luce di quanto accaduto in questi settant’anni, mai frase fu più azzeccata, almeno nelle intenzioni di tutti quelli che al Torino hanno sempre messo i bastoni tra le ruote, compreso lui, ma che nessuno è riuscito a far scomparire, perchè la storia non si può cancellare coi magheggi, perchè la passione del popolo granata è più forte di tutti gli inciuci e anche dei poteri forti.

cairoE se anche oggi, a causa di decenni di indiretto controllo, il divario tra le due squadre torinesi è enorne e sembrerebbe quasi incolmabile, con la Fiat che ha scaricato completamente la città di Torino, si potrebbero aprire nuove opportunità  di rinascita per la città ex-feudo degli Agnelli,  e forse anche per il Toro che, guidato da un imprenditore, Urbano Cairo, finalmente indipendente da quelli che erano poteri forti di della città, potrebbe lentamente far tornare i granata ad occupare il posto che meritano nel panorama calcistico italiano, mentre la Fiat sbarcherà in Gran Bretagna e forse qualche club calcistico londinese già sta tremando…

collegamento a torinofc.it
Vieni in trasferta
muro granata
loghi e altro da scaricare
diconodinoi
altri articoli >> storia dei presidenti del toro
trattoria bellini TRATTORIA - ENOTECA:
Walter

c.so Togliatti
Tel. 011/4055335

email:info@toroclubcollegno.it

Cell. Club 347/9252264

EDICOLA
GRANATA:
Omar

rotonda c.so Togliatti
Cel. 333/8580576

Edicola